Adamello Splitboard Experience 2016 Il Racconto di Max Sandri

Alessandro Baricco in “900” scriveva:

“Non sei veramente fregato finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla.”

12 Marzo 2016.

Ritrovo alla partenza impianti Presena h. 8.30.

24 ragazzi incluse le due guide alpine, prepariamo l’attrezzatura, pelli, zaini, artva, imbrago, ramponi, corde.

Un po’ di emozione e anche il timore della prima volta, ma è troppa la voglia di esplorare un ghiacciaio con la mia splitboard e passeggiare sulla neve immacolata.

Nel gruppo ci sono ragazzi di Trento, Vicenza, Brescia, Modena, Bologna, Ascoli e Macerata, capisco subito che sono esperti e agonisticamente preparati, non come me, che ho sempre praticato il backcountry a livello amatoriale.

adamello splitboard

La cabina ci porta sulla vetta del Presena e da lì inizia il lungo viaggio verso il Pian Di Neve. Quante volte ho ammirato quella distesa paradisiaca, simile ad una nuvola, la si vede molto bene da vari versanti, specie da Campiglio.

Talvolta l’ho osservata dall’oblò di un aereo sognando di mettervi piede un bel dì. Racchette alla mano e tavola in modalità discesa iniziamo l’avvicinamento, passando per il rifugio del Mandron, poi per il lago Mandrone ed eccoci davanti alla spianata nevosa più grande su cui ho messo piede nella mia vita.

Fortunatamente il tempo è favorevole, dividiamo la tavola e applichiamo le pelli e marciamo in fila indiana verso la cima dell’Adamello. Sono già le 11 e si scorge sulla sinistra il rifugio ai Caduti dell’Adamello (3,040 mt.).

salita adamello

Qui il gruppo si divide: quelli più allenati puntano alla Cima, gli altri iniziano a salire verso la Lobbia.

Io non mi sento in forma, ma decido di seguire il gruppo esperti.

Solchiamo la neve fresca per altre 2 ore e il tempo inizia a peggiorare. Credetemi non è bello quando sei oltre i 3,000 metri.

Arriviamo ad una tappa intermedia e la guida ci aggiorna sulla distanza dall’obiettivo: altre 2 ore e mezza circa, di cui 1 ora con ramponi e tavola in spalle.

Di lì a poco, io e Andrea, considerata l’autonomia disponibile per arrivare alla Lobbia, decidiamo di fermarci.

C’è un bivacco a circa 3 km in linea d’aria, ma la nebbia ci impedisce di raggiungerlo, quindi decido di puntare verso i Caduti Dell’Adamello sperando che la neve non copra la traccia.

Mi rendo conto che è facile farsi prendere dal panico quando i crepacci sono nascosti sotto la coltre di neve e il telefono non funziona.

Sei tu e la montagna, nessun altro.

Pensi alla famiglia, alle sicurezze che hai lasciato in fondovalle, assapori l’anima dell’avventura.

Andrea è dietro di me, pian piano ripercorriamo la traccia a ritroso.

Verso le 16.00 scorgiamo il rifugio, dopo una salita ripida, e 7 ore di marcia su pelli, finalmente a “casa”.

Dal terrazzo si intravede il tramonto fra le nuvole mentre nevica copiosamente e penso al resto del gruppo: a quest’ora avran raggiunto la cima? Avranno le forze per arrivare qui? E la visibilità e il buio?

“Sei tu e la montagna, nessun altro.

Il rifugio è molto sobrio ma accogliente, non c’è acqua corrente, la si prende con delle caraffe da bidoni di accumulo di neve disciolta e ci si lava come i gatti, la corrente è prodotta da un generatore a gasolio.

All’ingresso si possono mettere scarponi e pelli ad asciugare per il giorno seguente.

In una stanza sono conservati i cimeli della Prima Guerra Mondiale, scarponi, gavette, bombe a mano, elmetti dei nostri poveri soldati che queste vette cent’anni fa le attraversarono non per diletto.

C’è anche il busto di Giovanni Paolo II, che assieme a Sandro Pertini nel 1984 dormirono qui per celebrare questo monumento alle 2 guerre.

Ci sediamo a tavola e nella sala ristorante ci sono altre 30 persone. Alle 22.00 arriva Maurizio Garatti insieme a Scuby e Luca Milani, con la lampada frontale e le barbe ghiacciate.

Che impresa incredibile han compiuto!

Nonostante la stanchezza fatichiamo a prender sonno, il cuore a 3,000 metri batte forte, 90bpm contro i 55/60 normali.

La domenica posticipiamo la partenza alle 8.30 per recuperare le forze, colazione, un saluto a Romano, il gestore del rifugio, e giù tutti insieme a tracciare la neve fresca per un dislivello di 600 mt. Che soddisfazione essere i primi a solcare, una roba simile al primo uomo che ha messo piede sulla luna.

Attraversiamo da est a ovest il Pian di Neve e ci inerpichiamo verso Passo Venezia, nebbia e neve ci perseguitano quindi aspettiamo un po’ prima di scendere.

Sotto di noi il Pizgana, ovvero 2000 mt di parco giochi.

Montiamo le tavole e rimettiamo pelli e racchette negli zaini.

Uno ad uno iniziamo la discesa, la nebbia si dirada.

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Questo è vero freeriding, ogni minuto a tirar curve nella neve fresca equivale a 1 giornata di impianti.

Fra urla entusiaste ed euforiche galleggiamo con la nostra tavola ai piedi, ammiriamo il panorama selvaggio e scendiamo verso Ponte di Legno.

A metà vallata costeggiamo un enorme stratificazione di ghiaccio spesso circa 10 metri, blu cobalto, spettacolare.

In mezz’ora siamo in fondo, la valle sbuca sulla pista di collegamento Ponte/Tonale.

Sorrisi a 32 denti, ampiamente ripagati dalle nostre fatiche, pranziamo tutti insieme alla Tana dell’Orso, felici di aver condiviso la freeride experience migliore della nostra vita.

Grazie a SPLITBOARD VALCAMONICA e a MAURIZIO GARATTI per aver organizzato meticolosamente la gita, MUD AND SNOW e ASSOCIAZIONE FULVIO CIMAROLLI come partners e sponsor.

– Max Sandri